lunedì 23 maggio 2011

LA MEDITAZIONE DEL CALMO DIMORARE



  La pratica del calmo dimorare è il primo dei due stadi di meditazione di shamata e vipassana. Si tende ad accentuare l’importanza di vipassana (“l’osservazione profonda”) che può portarci a grandi intuizioni e liberarci dalla sofferenza e dalle afflizioni. La pratica di shamata (“il fermarsi”) però è di importanza fondamentale: se non ci sappiamo fermare non possiamo avere alcuna comprensione risvegliata. Shamata ha quattro funzioni: fermarsi - fermare i pensieri, le abitudini, la tendenza a dimenticare, le emozioni forti che ci condizionano; calmarsi – imparare l’arte di inspirare ed espirare, fermare le nostre attività e calmare le nostre emozioni; riposare– praticare in modo da lasciare andare ogni tensione nel corpo, nelle emozioni e nella coscienza; guarire –innaffiare i semi della calma, della pace e della gioia in noi e fuori di noi. Sessioni di meditazione si alternano a sessioni di asana, le posture classiche dello yoga, che risvegliano i sottili canali energetici del corpo e preparano la mente alla meditazione.
Praticare la meditazione, non significa tentare di vedere colori o forme o cercare di modellare un’esperienza o un’altra.
La meditazione, dal punto di vista del Mahamudra, significa sgomberare, liberare la mente da tutte le forme di attaccamento, di appiglio, di volere, di caratterizzazione delle cose.
Non si tratta tanto di far qualcosa, quanto di disfare i legami e le catene che imprigionano la mente. Abbandonando l’attaccamento alle cose come se fossero dotate di realtà inerente, si rilascerà la presa mentale nei confronti di queste cose e la volontà che vi è connessa, sicché l’apparenza si troverà ad essere libera da sé.
Spesso si crede che meditare significhi imporre uno stato di vuoto alla mente, uno stato senza pensiero né movimento mentale: quest’idea è sbagliata, perché se la meditazione fosse uno stato senza pensiero, questo tavolo davanti a noi starebbe meditando!
La meditazione non ha nulla a che vedere con il fatto di creare un vuoto volontario nella mente: meditare non significa bloccare il movimento dei pensieri, ma restare in uno stato in cui questi pensieri non fanno presa.
Se non ci fossero pensieri o movimento concettuale nella mente, chi mediterebbe?
La meditazione consiste dunque semplicemente nel riconoscere ciò che ci lega all’apparenza, alla manifestazione esterna, e rilasciare la stretta delle fissazioni mentali. Significa operare una distensione rispetto all’abituale condizionamento, e lasciare che questa distensione crei il suo effetto: gli oggetti su cui la mente si fissa cadono da sé, i nodi si disfano da soli.
Meditare significa disfarsi di quella corazza che ci siamo forgiati, degli abiti superflui che portiamo; allora, abbandoniamo una ad una le vesti concettuali, per rimanere nella nudità primordiale.
In questa distensione si prova lo stato fondamentale della mente come luce, come coscienza conoscente, come lucidità viva.
Questa chiarezza della mente è definita come coscienza istantanea, immediata, uno stato esente da elaborazioni mentali o reificazione. Semplicemente, dobbiamo restare nel godimento di questo stato, lasciando la mente nella sua dimensione propria, senza caratterizzare o giudicare alcunché, senza neppur concepire la nozione di meditazione.

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