venerdì 30 settembre 2011

Tratto da: Guida zen per non cercare la felicità di Barry Magid








"Quando Joshu era un giovane monaco, chiese al suo maestro Nansen: «Cos'è la Via?». Nansen rispose: «La tua mente ordinaria è la Via». Nansen intendeva la mente che Joshu già possedeva; non doveva trasformare la propria mente, e nemmeno se stesso, in qualcos'altro. [...]
Passiamo gran parte della nostra vita a fuggire dall'ordinario, per inseguire quella che crediamo sia una specie di alternativa spirituale. Ma torniamo una volta ancora a quel verso del Sandokai, in cui si dice che la vita ordinaria combacia con l'assoluto come una scatola con il suo coperchio. [...] «Se non comprendi la Via che hai davanti agli occhi - prosegue il Sandokai - come potresti distinguere il sentiero mentre cammini?».
[...] Dobbiamo esplorare cos'è che ci fa paura della nostra mente ordinaria, del nostro corpo ordinario e della nostra vita ordinaria. [...] Nel profondo di noi stessi non vogliamo essere umani, perché essere umani significa andar soggetti a tutti gli inevitabili dolori e tormenti dell'esistenza umana. [...]
Solo praticando lo zazen, settimana dopo settimana, anno dopo anno, la distinzione tra ordinario e speciale comincerà a diventare meno nitida. Tutto verrà a noi, se continuiamo a restare seduti e rimaniamo emotivamente onesti. Mentre pratichiamo sperimentando appieno questo momento, sperimentando il nostro corpo, i nostri pensieri, le nostre sensazioni, siamo seduti nella sfera mondana e al tempo stesso nel regno del miracoloso.
[...] Torniamo alla storia del primo incontro di Joshu con Nansen. [...] «Cos'è la Via?», domanda. «La tua mente ordinaria è la Via», risponde Nansen.
[...] Joshu non capisce, perciò insiste e domanda ancora: «Mi devo dirigere verso la Via o no?». E Nansen risponde: «Se cerchi di dirigerti verso la Via tradisci la tua pratica». [...]
Se la nostra mente ordinaria è la Via, come pratichiamo? Nansen dice che se «ti dirigi verso la Via» tradisci la tua pratica. Perché? Bene, perché avete già eretto qualcosa di esterno a voi stessi da perseguire, e la vostra pratica sarà contaminata da questo dualismo. È quello che di solito viene definito cavalcare un asino cercando un asino; ma è così che Joshu e tutti noi arriviamo inizialmente alla pratica. Dunque la nostra pratica di zazen è designata per ricondurci ripetutamente a dove già siamo, invece di aiutarci ad arrivare in qualche posto in cui immaginiamo di dover andare. Ma ce ne vuole di tempo per riconoscere che la pratica è l'asino su cui siamo sempre stati a cavalcioni. [...]
La perfezione che tanto ci affanniamo a cercare deve essere trovata soltanto qui, in questo momento,a prescindere dal suo contenuto. Questa è l'intuizione spirituale più fondamentale che possiamo avere. È questo momento! Ciò che abbiamo cercato disperatamente è già qui. La chiamo intuizione 'spirituale' proprio perché non ha a che fare con i contenuti della mente, ma è un'esperienza di gioia, pace, sicurezza o perfezione che si sente del tutto indipendente dai contenuti della nostra mente o della nostra vita, ma è invece un attributo della vita stessa, così com'è, qualunque forma assuma"

 (49-56).

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